Ultima modifica: 3 Marzo 2023
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Ai docenti, agli alunni, al personale, ai genitori dell’IIS Mario Rigoni Stern

Auguri del Dirigente Scolastico

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Nuove emozioni

Sassi e scogli

Sono nato e cresciuto qui

Questa è la spiaggia di ponente

Questa quella di levante

In mezzo il capo di Capo d’Orlando

Di fronte le isole Eolie

Alle spalle, subito ripide, le montagne che si inerpicano sino ai 1800 metri e poi ancora su, lui, lontano, ma vicino con la sua maestosità, l’Etna.

La bellezza di vivere in un promontorio è quella di poter vedere sia l’alba sia il tramonto sul mare.

La mia casa si affaccia sulla spiaggia di ponente e da lì non posso non sentire la risacca, il garrito dei gabbiani che il vento sospinge e risucchia sul tetto, e, quando il mare è mosso,

la salsedine che ti penetra nell’anima e confonde il tempo. A sinistra, non sempre visibile, Cefalù, a destra, dietro al capo, altri due capi, uno sempre visibile, Capo Calavà, quello accanto al sole,

e un altro, ben più prominente, ma non sempre visibile Capo Milazzo.

Davanti a me, il mio infinito: la linea dell’orizzonte, mai uguale e sempre uguale a se stessa. Fissarla significa inevitabilmente immaginare e, l’immaginazione si moltiplica quando la fisso in una giornata di vento, con il mare mosso e con i fulmini di un sopraggiunto temporale.

Le mie radici, la mia storia è qui! E anche se ormai più della metà della vita l’ho vissuta fuori, arricchendomi, il mio essere al mondo deriva da qui.

Qui mi sono innamorato la prima volta, qui, dove adesso c’è l’indicazione “SP 147” ho baciato, in una notte d’estate, la prima ragazza. Potrei continuare adducendo le mille ragioni indissolubili del mio essere e delle mie radici.

Guardate quegli scogli dietro, spesso alcuni di questi hanno un nome. Fin da piccolo mi sono chiesto perché alcuni sì e alcuni no. Ad esempio, poco più avanti c’è lo scoglio Garibaldi, eccolo nella sua bellezza,

c’è poi lo scoglio “Formica”, lo scoglio “Ventisette” e potrei continuare anche qui.

Nella mia mente di bambino ho ritenuto un’ingiustizia che alcuni avessero un nome e altri no! A poco a poco ho iniziato a dare un nome io a quegli scogli “orfani” nei quali mi identificavo, soprattutto dopo la morte di mio padre avvenuta quando avevo dodici anni.

Dico, soprattutto, perché ancor prima di quell’età il mio oggetto transizionale è stata una pietra raccolta, dopo una lunga malattia, sulla spiaggia.

Mi è rimasta questa abitudine-nevrosi, di dare un nome alle cose inanimate e di affezionarmi alle pietre, agli scogli, proiettando su di loro le mie emozioni e i miei affetti più cari.

Ovviamente lo scoglio dietro l’indicazione “SP 147” porta il nome di quella prima ragazza.

E poi succede!

A fine ottobre e ad inizio novembre sono andato a casa per un breve periodo di ferie dopo più di un anno e, avendo ripreso da un po’ di mesi ad andare in bici, sono ripassato dopo più di vent’anni sulla stessa strada che percorrevo in bici ogni mattina d’estate: dalla mia Capo d’Orlando a Patti e, qualche volta fino a Tindari.

Lungo il tragitto i soliti incontri incantevoli: il vento il sole la salsedine i gabbiani e poi dopo la torre di Gliaca di Piraino,

lo scorcio di mare al quale sono molto affezionato (ecco la visione di insieme con in fondo a destra Capo d’Orlando, e poi il dettaglio)

e dopo più avanti dalla fine di Gioiosa Marea fino a Capo Calavà al di qua ma soprattutto subito dopo la galleria, le rocce a strapiombo sul mare.

All’andata andavo sempre veloce con la mia bici ma al ritorno da Patti non ho mai resistito e mi sono sempre fermato negli stessi punti. Avevo dato un nome ad ogni scoglio e ad alcuni anfratti rocciosi.

Mi hanno tanto aiutato e mi sono molto emozionato con loro: a volte ero felice negli anni in cui ero pieno di speranze prima di partire per il nord, dopo le ferie, e sognavo il futuro, il lavoro stabile, l’amore; e loro spronavano la mia gioia; a volte ero triste, deluso nelle mie aspettative e loro, maestosi, ridimensionavano l’apparente infinito indicibile che avevo dentro e mi cullavano con una sorta di poesia malinconica che soccorreva le mie angosce.

Poi lo scoglio, prima della torre di Gliaca al ritorno da Patti, lui Filippo,

era sempre popolato di gabbiani che si ritrovavano, quasi per genetico appuntamento, su di lui. Gli altri scogli attorno erano deserti o quasi, inspiegabilmente.

Il 29 ottobre trepidavo per rivederlo dopo tanto tempo!

Le premesse c’erano tutte perché tutto è immutato e non è cambiato nulla!

Nonostante fossi all’andata mi sono fermato e Filippo era lì con un solo gabbiano un gabbiano solo solo.

Ho pensato fosse un caso!

Al ritorno mi sono rifermato e lui era ancora lì solo, senza neanche un gabbiano solo e gli atri, attorno, più popolati, Ginevra, Isotta, Fiore di Mandorlo, Polifemo.

Allora mi sono sentito solo come lui solo!

Lui che tante volte mi aveva aiutato e io non potevo e non posso far nulla.

Allora ho capito che nell’immutabilità dello spazio e del tempo noi due siamo cambiati. Lui non è più lo stesso e neanche io che non ho e non avrò il tempo delle speranze, inabissate come rocce a strapiombo nel mare.

L’ultima emozione

Nei giorni seguenti ho ripercorso, sconsolato, la stessa strada tutti i giorni non riuscendo a capacitarmi del perché lui fosse stato abbandonato! Irrimediabilmente abbandonato!

Ho sentito come se sulla mia pelle la carta vetrata avesse cancellato per sempre una parte importante di me. Ma ho anche sentito in fondo in fondo a me balenare, una nuova inconsapevole inaspettata confusa forte prepotente emozione. Una decina di chilometri più avanti, prima di arrivare a Patti, mi imbatto in lei che ho battezzato “Ultima Emozione”: Eccola! Bellissima!

Non è facile vederla perché è quasi spiaggiata e in una curva, per cui bisogna stare attenti alla strada e non distrarsi. Qui sono salito sul muretto per fotografarla! Apparentemente sembra in una posizione comoda, fuori dal pericolo!

Ma non è così!

Guarda l’orizzonte, ha le isole davanti e a destra, ma non si vede, il golfo di Patti e il promontorio di Milazzo.

È apparentemente fuori da ogni rischio, e in una posizione privilegiata.

Ma non è così!

Forse avrebbe preferito lasciare la riva e avventurarsi nel mare aperto e affrontare le tempeste!

Forse avrebbe preferito essere più al centro per essere vista da lontano!

Forse avrebbe preferito raggiungere il dirimpettaio Stromboli e trasformarsi in pomice!

Forse avrebbe preferito sognare altri sogni!

Forse…!

Senza tener conto che con i marosi è soggetta alle onde che si rifrangono e alla, non meno pericolosa, risacca.

Tutte queste e altre considerazioni mi hanno fatto innamorare di lei: la sua sofferenza e fragilità è la mia.

Sembriamo inquieti e paralizzati dalla vita!

L’ho chiamata Ultima Emozione perché il nome può essere letto in due modi: ultima emozione in senso cronologico, ma poi, ce ne saranno altre; e ultima emozione nel senso che non ce ne saranno più di così intense.

Pensando alle emozioni che mi aveva regalato Filippo e alla ancora confusa emozione emergente, ho scritto questa poesia, certo che i “senza” finali e il “Solo silenzio”, dettati dallo scoramento di quei giorni, sono già un ricordo lontano e l’Ultima Emozione ha ormai riempito gli anfratti dell’anima.

E qualcosa se ne va!

Carta vetrata sulla pelle

e qualcosa se ne va

come buccia di limone

grattugiato

nell’impasto dell’anima.

Carta vetrata sulle emozioni

ma qualcosa rimane

dentro

come interminabili

strati di cipolla

e resta l’ultima emozione,

lì, dentro, in fondo in fondo,

silenziosa, lontana.

Allora ti tocca vivere così!

Senza sorriso!

Senza!

Solo silenzio.

 

Allora vi auguro che possiate avere sempre tante emozioni e che possiate vivere con il sorriso e il rumore dell’anima il tempo.

Carmelo Scaffidi

Di più

Ecco i link ad alcuni brevissimi video di Filippo, Ultima Emozione, Capo Calavà, Capo d’Orlando.

 

Filippo 1

 

Filippo 3

 

Filippo 4

 

Polifemo

 

Capo Calavà 1

 

Capo Calavà 2

 

Capo Calavà 4

 

Ultima Emozione 1

 

Ultima Emozione 2

 

Ultima Emozione 3

 

Capo d’Orlando

 




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